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Giorgio Manganelli

Biografia di Giorgio Manganelli

15 novembre 1922

Giorgio Manganelli viene al mondo a Milano da Amelia Censi (nata nel 1884) e Paolo Manganelli (nato nel 1883). I genitori hanno già avuto un figlio, Renzo, nel 1909. «Da piccolo mio padre era biondo. È stato un bambino non precoce» (Lietta Manganelli).

Il padre

«I genitori di mio padre non erano milanesi, anche se lui è sempre stato contrabbandato come scrittore lombardo. Erano parmigiani. Mio nonno proveniva dalla sponda parmense del Po, da Stagno di Roccabianca, e dovette faticare moltissimo per sposare mia nonna, che era di buona famiglia (suo padre era infatti maresciallo dei carabinieri), mentre lui, poveretto, era un morto di fame, con molti fratelli e solo una lontanissima parentela con i principi Manganelli di Catania. Si trasferì a Milano dove, cominciando come venditore di lacci da scarpe e di elastici, diventò procuratore di borsa e in breve tempo si arricchì enormemente. Qualche anno dopo però perse tutto, fino all'ultima lira. Morì nel 1950, lasciando un debito di quattro milioni di lire, perché aveva giocato in borsa con i soldi dei suoi clienti. Mia madre, che insegnava storia e filosofia nei licei, ci mise quindici anni a ripagare completamente il debito, ma alla fine ci riuscì: non amava mio padre, ma il resto della sua famiglia sì; soprattutto il suocero che chiamava papà e con cui aveva un legame fortissimo» (L.M.).

La madre

«La madre di mio padre, nonna Amelia, è sempre stata descritta come un essere dannoso e pericoloso, e per mio padre lo è stato sicuramente, perché lo ha fatto a pezzi. Mio padre mi diceva sempre: – Lo sai che differenza c'è tra una madre ebrea e un condor? Tutti e due ti mangiano il cuore, ma il condor aspetta almeno che tu sia morto. – Era tremendamente possessiva. Papà si è sposato dopo liti furibonde, probabilmente solo per farle un dispetto. Nei primissimi anni della sua vita mio padre era sempre vestito da bambina perché al suo posto lei avrebbe voluto una femmina. Aveva già un figlio maschio e il suo sogno era una femminuccia che possibilmente le somigliasse, mentre invece venne fuori questo tizio incredibile che non assomigliava a nessuno: non a suo padre, che era un uomo piccolino, mingherlino, con dei meravigliosi occhi azzurri, né a sua madre, che anche lei era una donna minuta. Da mia nonna mio padre ha preso solo l'enorme naso micidiale. Dal nonno invece gli vennero quelle mani splendide da pianista, che peraltro non andavano per niente d'accordo col resto del corpo, così gonfio, così goffo» (L.M.).

3 dicembre 1922

Viene battezzato nella parrocchia di San Gioachimo con il nome di Giorgio Antonio. Gli fanno rispettivamente da padrino e da madrina Mario Censi (fratellastro della madre) e Argentina Manganelli (sorella del padre).

16 aprile 1931

Riceve la prima comunione. La madre, pur se molto probabilmente di origini ebraiche, è una cattolica osservante, devota soprattutto a Sant'Antonio da Padova, e impone a Giorgio una rigidissima educazione religiosa. «Conservo ancora una raccolta di una settantina di poesie di mia nonna, la maggior parte di stampo religioso, e sono anche belle, un po' da maestra, quale era, scritte in uno splendido italico, altissimo, svolazzante. Lei aveva quella che in psichiatria si chiama ossessione religiosa: era convinta di fare miracoli o che la notte Santa Rita le parlasse, e altre amenità di questo genere» (L.M.).

9 maggio 1935

Primissime prove di "scrittura", sotto effetto dell'emozione per la morte di una compagna di scuola. Come Manganelli confesserà negli anni successivi, questo evento ebbe profonda influenza sulla sua vita.

1935-39

A Milano frequenta con esiti eccellenti il liceo "Beccaria". Con altri amici, tra cui Oreste Del Buono e Domenico Porzio (il futuro ispanista, che diventerà il maggiore specialista italiano di Borges), collabora al giornale scolastico "La Giostra", dove nel 1940 compare anche un suo racconto, Il sogno triste della casa bianca. Tra i compagni di scuola c'è pure, per un breve periodo, Giorgio Strelher.

Settembre 1939

Consegue il diploma di maturità classica alla sessione autunnale con la media del nove. Subito dopo supera anche il concorso di ammissione alla Normale di Pisa, ma l'eccessiva distanza dalla madre lo spinge a rinunciare.

Novembre 1939

Si iscrive («per non fare il professore») alla facoltà di Scienze politiche di Pavia, dove, nonostante la guerra, compie gli studi brillantemente. È in questo periodo che comincia a manifestarsi la sua formidabile versatilità per le lingue straniere.

10 febbraio 1943

Chiamata alle armi. Suo ufficiale superiore presso il 78° reggimento di Fanteria "Lupi di Toscana" è Giovanni Terranova, col quale stringe un'amicizia rimasta intatta per tutta la vita. «Venne la primavera e fui incaricato di condurre tutte le mattine il plotone dei guerrieri al campo sportivo Brumana. Oggi teatro di vere battaglie, sia pure tra 44 piedi ed un pallone. L'ordine era: addestramento, passo di parata e addestramenti ginnici. Macché. Lungi dalla vista delle alte gerarchie, permisi che si accomodassero sul tenero prato verde. E così, toltisi lo zaino, tutti si immersero nella lettura o nello studio. Giorgio studiava la grammatica ungherese; era l'epoca in cui i libri di Ferene Köermedi erano popolari in Italia. Ma l'attenzione di Giorgio si stava volgendo verso la letteratura scandinava, ancora poco conosciuta da noi» (Giovanni Terranova). È durante il servizio militare che prende atto della sua difficoltà a risolvere i problemi della vita pratica, problemi che in seguito rievocherà scherzosamente sotto l'etichetta del «non sapersi allacciare le scarpe»: una incapacità cui fa risalire anche la sua destinazione alla scrittura.

Nel periodo di guerra la famiglia è sfollata a Stagno di Roccabianca, paese d’origine del padre, in provincia di Parma.

Marzo 1944

In seguito alla dissoluzione dell'esercito italiano provocata dall'armistizio del 8 settembre, Manganelli rifiuta di arruolarsi nell'esercito di Salò ed entra in contatto con il movimento antifascista, attraverso la sezione del Partito Comunista di Langhirano (Parma).

Novembre 1944

Aderisce alla sezione del Partito Comunista di Roccabianca.

Dicembre 1944

È nominato vicesegretario della sezione e rappresentante del comitato clandestino.

Febbraio 1945

Viene eletto segretario del comitato clandestino.

18 marzo 1945

Catturato e condannato a morte dai fascisti, scampa in extremis alla fucilazione perché l'ufficiale incaricato dell'esecuzione lo risparmia in considerazione della giovane età (Manganelli dimostra infatti molto meno dei suoi ventitré anni e sembra ancora un adolescente); lo colpisce però gravemente al capo con il calcio del mitra, lasciandolo tramortito a terra. Questo è ciò che mio padre ha sempre raccontato, ma non è detto che sia la verità. «Da quel momento, pur continuando l'attività partigiana, rimase nascosto fino alla fine delle ostilità nella casa di montagna del suo padrino di battesimo, Mario Censi: soffitta che essendo alta un metro e venti lo costringeva a stare praticamente sdraiato tutto il giorno. La notte invece usciva e accompagnava a curare i partigiani feriti una giovane donna medico, Fiorella, sorella di quella che sarebbe divenuta mia madre. La guidava bendata, in modo che, se fosse stata presa, non avrebbe potuto indicare ai fascisti dove si nascondevano i partigiani» (L.M.).

Fine aprile / inizio maggio 1945

Nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione incontra Fausta Preschern, figlia di un italiano di origine slava e naturalizzata Chiaruttini, che era il cognome della madre del padre. «Lei faceva il mercato nero e la sera andava a ballare nelle balere. Mio padre non sapeva ballare, ma era affascinato da questa bellissima ragazza e rimaneva seduto a guardarla per delle ore. Siccome la guerra era appena finita e lui circolava armato e vestito da partigiano, con due pistolone e un fucile, mia madre ne rimase attratta, convinta che fosse un uomo forte e molto coraggioso. In realtà mio padre era probabilmente l'essere meno bellicoso che esistesse sulla faccia della terra, uno che aveva paura persino dell'aria che respirava. L'idea che abbia fatto il partigiano, che sia diventato un membro della Resistenza, mi ha sempre lasciato incredula. Era capocellula del partito comunista. La cosa drammatica era che mia madre era invece fascista convinta, fascistissima, figlia di una tedesca implacabile. Per cui il matrimonio è durato quattro mesi esatti, giusto il tempo di mettere in cantiere me» (L.M.).

9 novembre 1945

Si laurea con il massimo dei voti, discutendo una tesi in Storia delle dottrine politiche dal titolo “Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600 italiano”, di cui è relatore Vittorio Beonio-Brocchieri (la tesi sarà pubblicata da Quodlibet nel 1999).

23 marzo 1946

Sposa, nella chiesa di Santa Eufemia Milano, Fausta Chiaruttini. Il legame con la moglie si rivela presto altrettanto distruttivo di quello con la madre. «Mia madre lo ha sposato perché in paese si diceva che prima o poi lui sarebbe divenuto ambasciatore. Ma il loro rapporto non poteva funzionare. Dopo un po' lei si è detta: – lo con questo non ci sto, oltretutto è pure brutto. Però voglio un figlio. – E allora l'ha letteralmente ubriacato, perché mio padre non voleva figli e sono venuta fuori io. Praticamente, quando sono nata, mia madre è scappata di casa, per poi tornare, con me , di corsa alla notizia della malattia dell’adorato suocero» (L.M.).

Nello stesso anno esce per l'Istituto Editoriale Italiano la sua traduzione di mio padre di “Fiducia” di Henry James.

20 maggio 1947

Nasce la figlia Lietta, battezzata in realtà con il nome di Amelia Antonia (dai nomi delle due nonne), per il rifiuto del sacerdote di battezzarla con un nome ebraico.

«Dopo il matrimonio si erano trasferiti in via Vigoni, in un appartamento così grande che mia madre e mio padre potevano non incontrarsi mai, e così hanno continuato a convivere da separati in casa. Mio padre non tollerava di sentire nemmeno respirare uno in camera, figurarsi un neonato che piangeva. Per questo io stavo nell'appartamento della servitù con mia madre. Papà e i suoi genitori stavano sparsi negli altri sette locali: c'era la camera rossa, la camera blu, la camera verde ... » (L.M.).

Ottobre 1947

Manganelli inizia ad insegnare inglese in un Istituto Femminile per l'avviamento. Intanto collabora ad alcuni periodici, come "Il Ragguaglio Librario" e "La fiera letteraria", con recensioni di letteratura anglo-americana.

Ottobre 1949

Il matrimonio con Fausta entra definitivamente in crisi. In questo periodo Giorgio conosce Alda Merini, allora giovanissima poetessa, che tanta importanza avrà nella sua vita di quegli anni.

23 febbraio 1950

Muore il padre Paolo. Questo evento porterà in breve allo sfascio gli equilibri precari su cui si reggeva l'esistenza di Manganelli. «La malattia di mio nonno, un tumore maligno alla laringe, disintegrò il sistema familiare. La famiglia si lacerò» (L.M.).

Maggio 1950

Inizia la relazione con Alda Merini. «Un giorno, incontrando mia madre, le disse: – Signora, mi sono innamorata di suo marito. – E si sentì rispondere: – Ma se lo prenda, benedetta, se lo prenda» (L.M.). Il rapporto è contrastato e difficile per la malattia mentale che minaccia la giovane poetessa e per la condizione di Manganelli, che, pur separato, vive ancora nella stessa casa con la moglie, la figlia e la madre.

15 giugno 1953

Abbandona precipitosamente Milano, interrompendo i contatti con la famiglia, e si trasferisce a Roma, dove inizia a ricostruirsi una vita e dove risiederà fino alla morte. «Era povero in canna. È vissuto fino a dopo il 1960 in una camera ammobiliata, presso la famiglia Magnoni. Quando i Magnoni traslocavano, anche il pensionante traslocava. Come il canarino. Diceva mio padre: io, il portaombrelli e il canarino abbiamo traslocato con la famiglia Magnoni» (L.M.).

«Aveva una moglie e una bimba, ma già le prime bufere esistenziali lo avevano reso inquieto e solitario. In effetti egli stava vivendo in quegli anni l'Hilarotragoedia che darà alle stampe tanto tempo dopo, nel 1964. Il vistoso ossimoro del titolo connota la sua vicenda degli anni 1947-49, oscillante tra un amore assoluto, caparbio e il sospetto della follia incombente sulla giovane poetessa amata. Fu allora che scopersi, durante le visite settimanali che mi faceva la strana coppia degna di un dramma antico, la complessità della natura di Manganelli, che affiancava a sublimi raptus intellettuali una profonda, rara e squisita umanità. Con essa egli cercava di salvare la ragazza, di affidarla in mani sicure, ma la paurosa immensità degli abissi della follia cominciava a dare i suoi segni esteriori. Un giorno egli scomparve in lambretta, diretto a Roma» (Maria Corti). «Mia madre rimase da separata in casa con i suoceri fino alla morte del nonno, accantonando per il momento tutte le sue ambizioni letterarie, ambizioni che riprenderà più tardi. I problemi pratici incombevano, le spese erano tantissime e mia madre tentava di fronteggiarle alternando l'insegnamento con le lezioni private. Io andai a vivere con i nonni materni a Parma, nonni e città assolutamente sconosciuti. Quando mio nonno paterno si ammalò, mi portò da sua madre chiedendole: – Me la tieni per quindici giorni? – E ci rimasi vent'anni» (L.M.).

Luglio 1953

Grazie ad una borsa di studio, si reca per un mese in Inghilterra: è la prima volta che va all'estero.

1954

Avvia la collaborazione al Terzo programma radiofonico, con recensioni di letteratura inglese e americana. Lavorerà per la radio ininterrottamente fino ai primi anni Sessanta. È tra i collaboratori di Gabriele Baldini, docente di Lingua e letteratura inglese alla facoltà di Magistero di Roma.

Novembre 1955

Riprende dopo anni di silenzio i rapporti con il fratello Renzo, assieme al quale passa le festività natalizie. In questa occasione incontra anche la madre, che non aveva più visto dalla morte del padre, cinque anni prima. Passando poi per Parma, rivede la moglie e la figlia.

Agosto 1957

Diventa professore di ruolo di inglese, incarico che lo porterà ad insegnare, tra l'altro, al liceo classico "Giulio Cesare" e all'istituto magistrale "Margherita di Savoia".

2 aprile 1959

Le sue condizioni psicologiche vanno peggiorando e per questo intraprende una cura psicoterapeutica con Ernst Bernhard, analista di scuola junghiana, al quale viene presentato da Cristina Campo nel 1957, e che in quegli anni annovera tra i propri pazienti anche altri intellettuali illustri come Giacomo Debenedetti e Federico Fellini. Manganelli, che definiva con riconoscenza Bernhard «l'uomo che mi ha insegnato a mentire», continuerà l'analisi fino alla morte del medico, nel 1965: tre volte la settimana, nel famoso studio di via Gregoriana con vista su Piazza di Spagna.

«Sull'orlo della disperazione, senza speranza di vivere né di morire, aveva conosciuto Ernst Bernhard, il quale l'aveva aiutato ad attraversare le ombre dell'inconscio. Per qualche anno aveva vissuto con loro, discorrendo soltanto di loro e con loro. Tutte le forme della sua mente sono uscite dal sonno in cui giacevano abbandonate e oppresse: l'analisi aveva risvegliato, in lui, lo scrittore nascosto; la letteratura l'aveva salvato dalla disperazione» (Pietro Citati).

1959

Prosegue l'attività di recensore con articoli di letteratura, soprattutto inglese e americana, per "Tempo presente", "L'Illustrazione italiana", "Paragone" e "Il Punto".

1960-61

Assieme a Cesare Garboli tiene su "Il Giorno" la rubrica "Cento libri", brevi presentazioni di grandi classici che saranno successivamente raccolte in volume (Cento libri per due secoli di letteratura, Archinto, 1989). In questi primi anni di attività si dedica molto alle traduzioni, impegno che – almeno dal punto di vista quantitativo – andrà scemando con l'intensificarsi della produzione narrativa e giornalistica. Traduce H. James, T. Hanlin, E Spencer Chapman, E. Ambler, C. Sprigge, T.S. Eliot, E. Allan Poe, 0. Henry. Alcune traduzioni rimangono inedite e saranno pubblicate postume.

Ottobre 1963

Con Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Renato Barilli, Umberto Eco, Alfredo Giuliani, Angelo Guglielmi, Luigi Malerba, Elio Pagliarani, Antonio Porta, Amelia Rosselli ed Edoardo Sanguineti, Manganelli è tra i partecipanti ai lavori di Palermo del Gruppo '63, proponendo il saggio intitolato “La letteratura come menzogna”. In quella circostanza viene anche messo in scena l'atto unico “Iperipotesi”, che poi sarà raccolto nel volume “A e B”.

«Manganelli era allora un giovane professore di inglese [ ... ]. Intuii la natura segreta, non conforme, carica di umori, in una interiorità molto aggrovigliata, sconvolta, e tutta concitata e contorta. Ne ebbi l'impressione come di un intelligentissimo lemure, avido di buoni libri e di buoni cibi, con molti malesseri e dissesti che sono stimolanti, che aiutano a far nascere invenzioni libere e inconsuete, con una punta di stravaganza intensissima. Mi parve che si potessero attendere sorprese da lui; e le sorprese non mancarono, poi» (Luciano Anceschi).

Estate 1963

Incontra la figlia Lietta, che non vedeva dal 1955. Da quel momento i rapporti tra i due diventano più stretti e frequenti. «Per mia madre mio padre era un tabù assoluto. Per incontrarlo avevo una compagna di studi che si chiamava Teresa: io "andavo da Teresa", cioè stavo tre giorni a Roma, neanche avessi avuto l'amante, sarebbe stato più semplice. Una volta siamo fuggiti, mio padre ed io, a Barcellona, con la scusa ufficiale che stavo preparando un esame. Era il solo modo di vedersi. Dopo che lei è morta ho trovato una valigia di lettere di mio padre indirizzate a me, mai aperte e nascoste. Non avevano niente in comune. Ma l'odio era a senso unico: mio padre la adorava. Non hanno mai litigato in vita loro. Le liti che ricordo da bambina erano piuttosto tra lui e sua madre: una volta ha anche cercato di ammazzarla» (L.M.).

1964

Esce da Feltrinelli “Hilarotragoedia”, prima opera di finzione la cui stesura definitiva era però completata già nel gennaio 1961. Il volume – uno dei testi di riferimento della neoavanguardia italiana – sarà ristampato nel 1972 (ancora da Feltrinelli) e nel 1987 (da Adelphi). Manganelli dirà: «Non sarei mai riuscito a pubblicarlo finché mia madre fosse stata in vita». «Ma in realtà sua madre è viva, morirà nel 1967, ha letto il libro e le è anche piaciuto» (L.M.).

«Ero arrivata da mio padre, inattesa, alle sei e mezzo del mattino. Stavamo parlando quando suonò il campanello. Lui andò ad aprire ed io sentii subito degli urli beluini. Mio padre tornò, mi prese per le spalle e mi buttò fuori sul terrazzo, dopo di che abbassò pure la tapparella, isolandomi completamente dal mondo. Rimasi lì segregata per un'ora. Quando venne a liberarmi mi disse solo: Ah niente, era solo un collega con dei problemi nervosi. – Poi mi confessò che era Carlo Emilio Gadda e che gli aveva fatto una piazzata folle, sostenendo che “Hilarotragoedia” fosse una presa in giro de “La cognizione del dolore”. Ma, come diceva giustamente mio padre, che colpa ne aveva lui se in quell'epoca c'era grande abbondanza di madri matte? Per puro caso ne avevano una per uno, lui e Gadda, e per questo i loro libri si somigliavano tanto. Quella era la seconda volta che rivedevo mio padre» (L.M.).

1965

Scrive su "Il Mondo" (per tutto l'anno e poi di nuovo dal 1974 al 1976). Esce su "Il Menabò" il “Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti”, con una nota di presentazione di Italo Calvino. Manganelli diventa consulente letterario dell'Einaudi.

1966

Comincia a collaborare con "L'Espresso", dove scriverà regolarmente per tutti gli anni Settanta, e in seguito solo in modo saltuario. Su commissione del Teatro dell'Opera di Roma, per un allestimento dell'opera schumaniana, traduce il “Manfredi” di Byron (la sua versione sarà pubblicata postuma da Einaudi nel 2000).

1967

Pubblica da Feltrinelli “La letteratura come menzogna”, raccolta di saggi degli anni precedenti e manifesto di un'originalissima poetica. Il volume sarà ristampato da Adelphi nel 1985 e nel 2004.

1969

Esce per Einaudi “Nuovo commento”, seconda prova narrativa.

1970

Abbandona l'incarico universitario a Roma. Anni dopo commenterà il suo gesto dicendo: «sarei diventato professore universitario di ruolo a quasi sessant'anni».

«Quando fu fondato il DAMS di Bologna, mio padre venne contattato perché andasse ad insegnare nella nuova facoltà. Allora lui partì per Bologna e fece il giro dei ristoranti della città, che non lo soddisfecero per niente. Per questo rifiutò la proposta: perché a Bologna, a sentir lui, non si mangiava abbastanza bene per i suoi gusti» (L.M.).

1972

Pubblica, ancora con Einaudi, “Agli dèi ulteriori”, raccolta di racconti tra i quali figura anche “Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti” e che saranno ripubblicati da Adelphi nel 1989. Realizza una serie di reportage dalla Cina per "Il Giorno".

17 febbraio 1973

Muore improvvisamente, per un attacco cardiaco, il fratello Renzo, all'età di sessantaquattro anni. In quest'occasione Manganelli scrive due appassionate epistole consolatorie alla cognata Angiola e una alla figlia Lietta.

1973

Esce “Lunario dell'orfano sannita” (Einaudi), che raccoglie i corsivi della fine degli anni Sessanta. Compie un viaggio nelle Filippine e in Malesia per "L'Espresso".

1974

Con il titolo di “Cina e altri Orienti” escono da Bompiani i reportage di viaggio in Oriente già apparsi sull' "Espresso" e su "Il Giorno". Inizia la collaborazione con "Il Corriere della Sera", dove aveva già scritto per un breve periodo nel 1965, collaborazione poi protrattasi fino al 1986. In estate la RAI trasmette una serie di interviste impossibili da lui appositamente scritte per la radio.

1975

Pubblica presso Rizzoli “A e B”, che raccoglie tra l'altro le interviste impossibili dell'anno precedente. Compie un importante viaggio in India, il cui reportage viene pubblicato in undici puntate su "Il Mondo" tra l'ottobre del 1975 e il febbraio del 1976 (e poi raccolto in volume da Adelphi, nel 1992, con il titolo di “Esperimento con l'India”). Cura per Franco Maria Ricci, “Ex voto. Storie di miracoli e di miracolati” con la prefazione da Giorgio Manganelli.

In quello stesso anno accompagna come interprete il presidente Leone nel suo viaggio in Sudafrica e in Arabia, perché in Italia è l'unico in grado di parlare correttamente lo swahili. «Non c'è che dire: mio padre aveva proprio la passione delle lingue strane» (L.M.).

1976

Torna alla narrativa con “Sconclusione” (Rizzoli).

1977

Due riscritture: “Pinocchio: un libro parallelo” (per Einaudi) e “Cassio governa a Cipro” dall'Othello di Shakespeare (per Rizzoli), che inaugura il suo contrastatissimo rapporto di amore-odio con il teatro. Scrive fino all'anno successivo per "La Stampa" e per il suo supplemento "Tuttolibri".

1978

Reportage dall'Islanda e dalla Danimarca per "La Stampa" (saranno raccolti dal Touring Club nel 1982).

1979

Escono i microracconti di “Centuria. Cento piccoli romanzi fiume” (Rizzoli), che gli valgono il premio Viareggio. Sarà il suo maggiore successo di pubblico, tanto che l'anno seguente il libro verrà anche ristampato in edizione economica nella BUR. Realizza per "La Stampa" una serie di servizi dal Pakistan e da Kuwait (raccolti postumi ne “L'infinita trama di Allah”, Quiritta, 2002).

1981

Pubblica “Amore” e la raccolta di prefazioni “Angosce di stile” (entrambi da Rizzoli). Si reca in Finlandia per "Il Corriere della Sera". Partecipa come attore all'Intervista con Mangiafuoco, con Vittorio Gassman e per la regia di Mario Monicelli («Ho spiegato a Monicelli che sono un vigliacco, un ansioso, che non ho mai fatto una cosa del genere. Monicelli mi ha convinto con una frase decisiva: – Venga, ne vale la pena–» (G.M.). Si trova a Barcellona con la figlia Lietta proprio nei giorni in cui un gruppo di terroristi assalta il Banco General, prendendo in ostaggio duecento impiegati della banca.

«Quando Calvino venne a stare a Roma, volle incontrarlo e mi chiese di combinare una cena. Uno dei mie tanti rimpianti è di non averlo fatto. Stavo a Roma pochi giorni alla settimana e questo continuo andirivieni mi confondeva, insieme alle consuete difficoltà di organizzare qualcosa con Manganelli. Finalmente Chichita Calvino si decise a farlo da sola. Invitò Manganelli con Luigi e Anna Malerba. Fu un disastro. Manganelli arrivò molto prima degli altri, volle mettersi subito a tavola, cenò da solo, servito dagli attoniti Calvino e se ne andò sgarbatissimo prima che gli altri si mettessero a tavola. Credo che non si rividero più, con dispiacere almeno di Calvino» (Ginevra Bompiani).

1982

Esce da Rizzoli “Discorso dell'ombra e dello stemma o del lettore e dello scrittore considerati come dementi”.

1983

Visita le isole Färöer per "Il Corriere della Sera".

1985

Pubblica “Dall'inferno” (Rizzoli). Muore improvvisamente a Roma il grande amico di una vita Augusto Frassineti. «Ci facevamo delle risate, io, lui e Frassineti. In treno facevano finta con il controllore di essere due deficienti, due minorati mentali. Il controllore ci credeva e mi guardava con compassione. I ricordi più belli li ho di quando mi portavano a mangiare il culatello nelle campagne di Parma» (L.M.).

Reportage dalla Germania per "Il Corriere della Sera".

1986

Abbandonato "Il Corriere della Sera", avvia un intenso rapporto di collaborazione con "Il Messaggero", per cui scrive una serie di servizi dalla Cina. Pubblica la raccolta di racconti “Tutti gli errori” (Rizzoli) e un'antologia di scritti sulla letteratura italiana dalle origini fino all'Ottocento, “Laboriose inezie” (Garzanti).

1987

Escono il volume “Rumori o voci” (Rizzoli) e la raccolta dei “Salons” scritti per Franco Maria Ricci. Riceve a Vienna il premio nazionale del governo austriaco per la letteratura. "Il Messaggero" lo manda in Iraq (gli articoli del soggiorno di Manganelli sono raccolti anch'essi ne “L'infinita trama di Allah”).

1988

È in Argentina e a Taiwan per "Il Messaggero". Nell'occasione realizza anche un documentario su Taiwan per "Mixer" (RAI 2).

1989

Pubblica la raccolta di corsivi “Improvvisi per macchina da scrivere” (Leonardo), che riunisce i pezzi pubblicati per "Il Messaggero", e un'”Antologia privata” (Rizzoli). Quest'anno "Il Messaggero" lo spedisce in Norvegia, sulla quale anche in questo caso prepara un documentario per "Mixer".

1990

Dà alle stampe l'ultima opera narrativa, “Encomio del tiranno scritto all'unico scopo di fare soldi” (Adelphi).

28 marzo 1990

Muore a Milano Fausta, la ex-moglie, che Manganelli non vedeva da quarant'anni, ma alla quale era rimasto egualmente molto legato: l'evento gli provoca una profonda afflizione. In quell'occasione confessa a Giulia Niccolai: «Il mio psicanalista dice che non ho più voglia di vivere e forse ha ragione». Nel periodo pasquale di quello stesso anno Manganelli è colpito da una grave forma di mielite, malattia della quale aveva già sofferto durante gli anni Cinquanta.

28 maggio 1990

Nella notte Manganelli muore nella casa di Via Chinotto 8 (interno 8).